La cellula essenziale di ogni sistema economico è rappresentata dalla famiglia, un operatore economico le cui esigenze non vengono soddisfatte pienamente dagli altri due operatori economici, la Pubblica Amministrazione e le imprese. Ciò spiega l’espansione registratasi negli ultimi tempi del cosiddetto “No-profit”, espressione mutuata dall’Inglese che si rende in Italiano come “Terzo settore”. La proliferazioni degli organismi operanti in tale nuovo campo, gli enti non lucrativi, ha indotto anche il Legislatore, soprattutto fiscale, ad interessarsi del fenomeno.
La gamma degli enti non lucrativi è alquanto vasta, comprendendo uno spettro eterogeneo di soggetti, tutti accomunati dal fatto di essere enti non commerciali, in quanto deputati allo svolgimento ed alla promozione di attività culturali, artistiche, ricreative, sportive, sindacali, religiose, assistenziali, e via discorrendo.
Si intende, perciò, che ciò che accomuna un novero così differenziato di soggetti è il fatto di non svolgere in via sistematica attività commerciali, che ai sensi dell’articolo 2195 del Codice Civile concretano “impresa”, cioè lo svolgimento di un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. E’ tuttavia possibile lo svolgimento di attività commerciali, che devono essere secondarie, cioè non prevalenti rispetto alle attività che concretano l’oggetto sociale, e perciò strumentali e sussidiarie rispetto a queste.
La nascita ed il prosperare del fenomeno associativo, chiara esigenza di carattere sociale, trova il fondamento giuridico in diversi articoli della Costituzione della Repubblica Italiana che, da un lato, riconoscono e tutelano i diritti della personalità e la libertà di espressione in tutte le sue forme, dall’altro, statuiscono il diritto di riunione (articolo 17 Costituzione) ed il diritto di associazione (articolo 18 Costituzione).
Associandosi, cioè unendo forze ed intenti (e beni), gli individui perseguono un interesse comune di natura non commerciale. Alla base di tutto sta il Contratto associativo, assai raramente un solo documento, solitamente scisso in Atto costitutivo e Statuto, quest’ultimo deputato a definire la struttura dell’associazione ed a fissare le regole fondamentali della sua vita.
Per le associazioni, come per le Cooperative, vale il principio della “Porta aperta”, nuovi ingressi sono ben accetti (a patto che siano in linea con le finalità dell’organizzazione) e non comportano modifiche dell’Atto costitutivo.
Nell’ambito delle associazioni occorre distinguere tra quelle riconosciute e quelle non riconosciute. Non riconosciute non sta a significare che sono illegali! Tutt’altro. La differenza risiede nel fatto che quelle riconosciute hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento statale, a seguito del quale l’ente acquista personalità giuridica ed autonomia patrimoniale perfetta: il patrimonio dell’associazione (fondo comune) è distinto e autonomo rispetto a quello degli associati e degli amministratori. Ne segue, che per le obbligazioni contratte in nome e per conto dell'associazione risponde solo l'associazione con il proprio patrimonio (e non gli amministratori).
L’associazione che reputi non necessario richiedere il riconoscimento, ciò che costituisce la regola, è detta non riconosciuta. Essa si fonda sempre sull’accordo tra gli associati, che non deve essere necessariamente per iscritto. Tuttavia, di solito, la forma scritta è preferita, sia per prevenire controversie, sia per meglio specificare le caratteristiche ed il funzionamento dell’istituenda associazione.